Un calore progressivo e prolungato potrebbe trasformare radicalmente la capacità del pianeta di ospitare la vita come la conosciamo. Lo mostrano i risultati di uno studio guidato dall’Università di Bristol che ha utilizzato un supercomputer per simulare il clima su orizzonti temporali di centinaia di milioni di anni. I modelli non parlano di scenari immediati: disegnano invece come cambierà la Terra quando le placche si riconfigureranno e i continenti convergeranno in un unico massiccio emerso. Un quadro che mette in luce rischi sistemici per le forme di vita più sensibili al calore.
La ricerca si è concentrata su una futura configurazione continentale, denominata Pangea Ultima, e ha combinato mappe di spostamento delle placche, chimica degli oceani e dinamiche della CO2 per stimare la temperatura media, la piovosità e l’umidità in quelle condizioni. I risultati indicano un progressivo innalzamento della temperatura dovuto a due fattori principali: l’aumento della luminosità solare nel corso delle ere e il rilascio maggiore di anidride carbonica legato a intensi processi vulcanici. In particolare, le più frequenti eruzioni vulcaniche associate alla formazione del supercontinente sprigionerebbero gas serra su scala geologica. Un dettaglio che molti sottovalutano è che questi cambiamenti non sono uniformi: si aggravano nelle aree interne lontane dagli oceani, dove il clima tenderà a diventare secco e ostile.

Come cambierà il pianeta quando si formerà il supercontinente
La simulazione del team mostra un pianeta con ampie regioni aride e temperature estreme, una configurazione che riduce drasticamente le aree con condizioni compatibili con la vita dei mammiferi. Secondo i modelli, quando il supercontinente sarà compiuto soltanto tra una fascia stimata dell’8% e del 16% della superficie emersa manterrebbe condizioni adeguate per specie sensibili al calore. Per arrivare a queste stime il gruppo ha applicato sofisticati modelli climatici che calcolano vento, evaporazione e circolazione oceanica in un singolo corpo continentale. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno — la maggiore escursione termica tra coste e interiora — qui si amplifica su scala planetaria.
Nel dettaglio, la tettonica dirige la geografia: grandi masse emerse concentrano il calore, interrompono correnti marine e riducono le regioni temperate. Anche se la Terra rimarrà nella cosiddetta zona abitabile rispetto al Sole, la combinazione tra maggiore luminosità e concentrazione di gas serra renderebbe vasti territori inadatti ai mammiferi. Gli esseri umani, che hanno storicamente sopravvissuto adattandosi a climi freddi con pellicce o ibernazione, si trovano in difficoltà nel fronteggiare esposizioni prolungate a caldo estremo: la tolleranza fisiologica agli alti valori di temperatura non è aumentata nello stesso modo rispetto a quella al freddo.
Questo studio mette anche in luce un altro aspetto rilevante per la scienza planetaria: la distribuzione delle terre emerse è un fattore chiave per valutare la vivibilità di mondi lontani. Per chi studia gli esopianeti, la lezione è chiara: non basta la distanza dalla stella, conta la geografia. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è la differenza tra percepire ondate di calore stagionali e immaginare condizioni di calore persistente su milioni di anni. La conseguenza pratica è che la ricerca climatica e geologica deve continuare a integrarsi: capire come la geografia influenza l’atmosfera non è una curiosità accademica, ma un elemento decisivo per valutare il futuro della vita sulla Terra.
