Tre cani dal manto blu avvistati nei pressi della centrale di Chernobyl hanno sorpreso i veterinari impegnati sul territorio. Il caso apre interrogativi scientifici e rimette sotto i riflettori la fauna che vive nell’area contaminata.
Nella zona di esclusione attorno alla centrale di Chernobyl, in Ucraina, la natura si è presa spazi inattesi. Da anni ricercatori e operatori sul campo osservano alci, lupi, cinghiali, caprioli e numerosi rapaci. Animali a volte mai registrati prima in queste terre, tornati a popolare un’area da cui l’uomo è assente dal 1986. In questo contesto, già insolito di per sé, un episodio recente ha aggiunto un nuovo livello di sorpresa: tre cani dal pelo blu intenso, avvistati da un team veterinario impegnato in attività di monitoraggio e sterilizzazione degli animali randagi dell’area. Le immagini, diffuse sui social da un’organizzazione che opera all’interno dell’area contaminata, hanno generato domande, ipotesi scientifiche e — inutile negarlo — anche qualche timore infondato legato alle radiazioni. Gli esperti, però, invitano a guardare i fatti con razionalità .
L’avvistamento e il contesto: chi segue i cani di Chernobyl
Le prime testimonianze arrivano dagli operatori del Clean Futures Fund, una no profit che da anni fornisce supporto alle comunità colpite dal disastro e si occupa del benessere dei cani randagi nella zona. Si tratta di animali discendenti dai cani che vivevano con la popolazione prima dell’evacuazione. Nonostante le operazioni di abbattimento avvenute dopo l’incidente, molti sono sopravvissuti e hanno formato popolazioni autonome. Oggi si stima che nell’area vivano circa 700 cani e un centinaio di gatti, con numeri in calo graduale grazie ai programmi di sterilizzazione.
Gli operatori erano sul posto per catturare alcuni esemplari e condurli alla sterilizzazione quando si sono imbattuti nelle tre anomalie. «Ci siamo trovati davanti tre cani completamente blu e stiamo cercando di capire cosa stia succedendo» hanno raccontato ai social dell’associazione, ammettendo che gli animali, molto attivi e diffidenti, non sono stati ancora catturati. Lo scopo è prelevarli, analizzarli e chiarire cosa abbia causato il particolare colore del mantello. Una dinamica, questa, che ha attirato l’attenzione di media e comunità scientifica, tanto per la rarità del fenomeno quanto per il luogo in cui avviene, spesso percepito come laboratorio naturale dell’impatto post-nucleare.
Il monitoraggio degli animali della zona, in questi anni, è stato costante. Biologi e veterinari osservano la presenza di specie robuste e adattate, e verificano eventuali rischi di spostamento fuori dall’area di sicurezza, che si estende per circa 30 chilometri attorno alla centrale. Il ritorno ripetuto di fauna selvatica ha ispirato più documentari, estendendo la curiosità anche al grande pubblico. E ora l’episodio dei cani blu riporta il dibattito sulla coesistenza tra natura e storia di una tragedia ambientale.
Ipotesi scientifiche, niente misteri e nessun riferimento alle radiazioni
Di fronte alle immagini, in rete qualcuno ha ipotizzato senza prove collegamenti con la radioattività residua. Gli esperti, al contrario, chiariscono che l’ipotesi più concreta riguarda un contatto con sostanze chimiche industriali ancora presenti nei pressi della zona. La veterinaria Jennifer Betz, coinvolta nel progetto di assistenza ai cani, ha spiegato a riviste scientifiche internazionali che i cani avrebbero probabilmente «rotolato in una sostanza accumulata sul loro pelo». In particolare, viene citato un possibile collegamento con il materiale residuo di un vecchio bagno chimico nelle vicinanze del luogo dell’avvistamento. Una pista che, pur non ancora confermata attraverso test, appare verosimile.
La stessa Clean Futures Fund ha smentito in modo secco qualunque insinuazione di manipolazione delle immagini o collegamento immediato con le radiazioni. «Stiamo cercando di catturarli per analizzarli, non sappiamo ancora il motivo del colore» ha ribadito l’organizzazione, precisando che nessuno dei veterinari coinvolti ha lasciato intendere che il fenomeno sia riconducibile agli effetti nocivi delle radiazioni sulla pelliccia degli animali. Gli scienziati tendono alla cautela: la zona di Chernobyl, pur monitorata, conserva frammenti di complessità ambientale ancora oggetto di studio. Ma l’approccio resta basato sui fatti, e il colore particolare di questi tre cani sembra avere un’origine più chimica che genetica o radioattiva.
Ora si attende che gli esemplari vengano catturati per analisi approfondite. Il caso resta un episodio curioso all’interno di un territorio già denso di significato simbolico e scientifico. Una storia che ricorda come la natura, nelle condizioni più impreviste, continui a muoversi, adattarsi e — a volte — sorprendere.
 